Greta Boato

 Petite histoire du Journal Intime (Piccola storia del Giornale Intimo)

Giornale Intimo è la traduzione letterale del termine francese Journal Intime che sta ad indicare il Diario, ovvero quell’oggetto personale tendenzialmente dedicato all’esternazione della parte più intima di sé.

Queste opere, dal formato molto ridotto, sono per l’appunto espressione interiore e privata, sorta in modo assolutamente spontaneo. La serie si delinea come una sequenza rapida, dinamica e libera, ma duratura nel tempo.

Ad un primo giudizio esterno i lavori, realizzati con colore ad olio e grafite su supporto cartaceo, sono stati definiti “schizzi”: pagine di un quaderno di appunti, elaborazioni di futuri risultati compiuti. Brutte copie, insomma.

Eppure, mentre realizzavo ogni piccolo lavoro, quello che provavo, era piacere.

Un piacere viscerale e primitivo che incominciava nel momento in cui stendevo sul foglio il colore denso e pastoso, mentre l’odore greve dell’olio mi invadeva le narici, inebriandomi.

Osservavo i colori mescolarsi in maniera imprevedibile e incontrollabile e seguivo affascinata la scia dell’unto che lentamente si allargava, invadendo la carta e rendendola trasparente.
Poi c’era la grafite. Il segno guidato dalla mia mano graffiava, mescolava, copriva, riempiva; le punte delle mine a volte si spezzavano, a volte laceravano il foglio, in una vera guerra ad armi quasi pari.

Nel tracciare i segni i miei muscoli fremevamo e il mio spirito si liberava, e con spirito intendo tutto: la mia gioia, la mia rabbia, la mia frustrazione, il mio nervosismo, la mia energia, le mie paure.
Infine osservavo il risultato.
Alcuni lavori risultavano minimalisti: poche sfumature, poca grafite, solo tracce delicate e sottili, dolci e leggere come brezza calda sul viso.

Altri lavori invece risultavano crudi, sgraziati, violenti, furiosi, disarmonici, striduli. Brutti.

Quei piccoli “schizzi” erano davvero il mio Giornale Intimo, pagine di diario che prese tutte insieme rappresentavano l’intero mio essere: denso ed etero, dolce e violento, corposo ed effimero, coraggioso e discreto.

Li attaccai per la prima volta, uno dopo l’altro sulla parete dell’atelier dell’accademia. Incominciai con pudore, disponendoli partendo dall’angolo più nascosto della stanza. Andando avanti, però, i quadrati erano così numerosi che, uno dopo l’altro riempirono l’intera parete, facendo sì che il mio giornale intimo, l’espressione di me stessa, fosse alla mercé di tutti.

Eppure, guardati tutti insieme, in quel grande collage, ordinato e caotico, non sembravano così male.
Anzi, mi piacevano proprio.

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