Giovanni Pinosio

Giovanni Pinosio è un giovane artista veneziano con alle spalle quei necessari studi Accademici che gli permettono di muoversi con sicurezza tra “le belle arti”, privilegiando tra queste il disegno e la scultura.

O meglio, una sua originalissima fusione tra il piano del disegno e la tridimensionalità della scultura che egli realizza mettendo in campo, nella costituzione della “figura”, elementi complessi come vuoto e immaterialità.

Immaginiamo la grafite della matita che scorre sul foglio bianco a comporre porzioni ibride di figura – è l’uomo al centro della ricerca, un uomo maschile ma sessualmente non caratterizzato. Compaiono tracce di un tronco, ora di una mano che vibra – e quel gesto viene replicato occupando lo spazio – ora soltanto un moncone di una gamba.

Sostituiamo ora la grafite con del filo di ferro e proviamo a ricostruire quella figura. L’immagine ritrova sé stessa nello spazio, acquisendo però una tridimensionalità rarefatta, metafisica.

Il nostro corpo è denso involucro di carne che appoggia sullo scheletro portante. Pinosio, con le sue opere, rovescia il dentro e il fuori: è lo scheletro in fil di ferro a formare la figura, mai realmente compiuta. Ibrida anch’essa.

Mentre l’interno della figura non c’è. È “vuoto”.

Racconta l’artista: “C’è un accadimento preciso nella mia vita che ha segnato il mio linguaggio artistico. Un pomeriggio, io e mio fratello, a casa da soli. Trovo un gomitolo di lana azzurra e comincio a costruire una trama: collego il filo alla maniglia della finestra, poi mi arrampico sul mobile per raggiungere una mensola… alla fine avevo riempito la stanza di linee azzurre”.

Dal punto di vista realizzativo l’autore, che padroneggia la figura anatomica, ricava dal disegno quelle linee e quei piani che poi trasferisce – da orizzontale a verticale – per concepire il corpo in tridimensione.

Il vuoto rappresenta una sfida in questa sua concezione di scultura, perché l’ambiente entra nel corpo dell’opera, creando un indistinto con lo spazio.

A Venezia in questo periodo la bella mostra di Luc Tuymans. L’artista belga si muove nell’ambito della pittura ma agisce concettualmente nello stesso solco di Pinosio: la figura, i ritratti che realizza, sono dello stesso colore delle campiture dello sfondo. In questo modo crea un indistinto tra il fuori e il dentro. O meglio, ambiente, spazio e tempo sono fusi insieme, saldati alla figura. Processo mentale e artistico che sta caratterizzando molti autori contemporanei.

E sebbene il vuoto rappresenti l’estrema sfida nella scultura, notoriamente realizzata su pieni, è anche l’incombenza dell’ambiente, lo spazio che entra ed esce dalle sculture di Pinosio, a crearne l’originalità.

SIAMO CIÒ CHE SAREMO

le SOVRA_STRUTTURE di Giovanni Pinosio             

di Marco Duse

Come vivremo in un prossimo futuro?           

Come stiamo già vivendo un futuro ormai presente?           

Come ci hanno cambiati il Covid-19, la quarantena, il distanziamento sociale?            

Cosa stiamo diventando o, a conti fatti, cosa siamo diventati?

La domanda la pone Adolfina De Stefani con il titolo di questa collettiva (Come vivremo in un prossimo futuro?, appunto), e a Giovanni Pinosio e alla sua mostra SOVRA_STRUTTURE non resta che provare a dare una risposta.

Giovanni Pinosio è un artista ventinovenne che già a inizio carriera ha trovato la sua forma, il suo stile immediatamente riconoscibile. Le sue sculture in fil di ferro sono già un trademark, nettamente diverse e distinguibili da quelle di altri artisti che operano con la stessa tecnica. Accompagnate qui per la prima volta dai loro bozzetti preparatori, le opere di Pinosio ci parlano del rapporto tra il corpo, il tempo e lo spazio, specialmente ora che questo rapporto è stato alterato dalla quarantena e dal distanziamento sociale.

Da soli con noi stessi, nei giorni della quarantena, abbiamo avuto il tempo, volenti o nolenti, per pensare. Pensare a ciò che siamo, a cosa ci definisce, a come siamo fatti, dentro e fuori. Abbiamo visto i nostri corpi cambiare, adattarsi a una nuova vita, rinvigorirsi o invecchiare a seconda della cura – o della mancanza di cura – che abbiamo loro riservato. Ma siamo anche entrati in contatto con un elemento più profondo, il nostro dentro, il nostro carattere, e ne abbiamo amplificato alcuni aspetti: ci siamo riscoperti coraggiosi o impauriti, premurosi o egoisti, fiduciosi o scettici, pazienti o insofferenti – spesso tutte queste cose assieme, in misure diverse.

Le persone ben definite e stabili che pensavamo di essere si sono rivelate forme in continua evoluzione, in continuo movimento, costrette ad adattarsi: anima e corpo sono forme mutevoli – e il flusso di segni con cui Pinosio opera sia nel disegno sia nella scultura ne è la rappresentazione, la concretizzazione.

Mi piace usare una specie di ossimoro per definire lo stile scultoreo di Giovanni Pinosio: minimalismo barocco (ma anche barocco minimalista non è male). Nelle sculture di Giovanni Pinosio il corpo è la componente barocca, sinuosa, dettagliata, il guscio esterno che determina la forma – mentre il singolo tratto, l’anima, il filo di ferro è la componente sottile, minimale. Il barocchismo di Pinosio è una somma di tratti essenziali sovrapposti, che sviluppano il discorso del corpo nel tempo e nello spazio.

Nell’opera di Pinosio, la scultura invade lo spazio. Non de-finita, non chiusa, la scultura sembra volersi continuamente allargare. Lo stesso vale per i disegni, contenuti dalla cornice ma altrimenti capaci di espandersi all’infinito. Il tratto, sia grafico sia scultoreo, crea strutture che si sovrappongono fino a che la sostanza non diventa forma, in un continuum di creatività e materiali che abbatte i limiti del qui e ora ai quali la scultura è spesso legata: ne sono un esempio le sue cronosculture, corrispettivo materico della cronofotografia, in cui il movimento è colto nel suo divenire e nel suo articolarsi, e i piani temporali coesistono, le diverse figure si generano l’una dall’altra e l’opera diventa leggibile nel tempo oltre che nello spazio.

Anche i disegni preparatori entrano a far parte del discorso su come opera e spazio si influenzino a vicenda. Le rielaborazioni grafiche dei bozzetti si presentano come sovrapposizioni – per l’appunto, strutture sovrapposte – di progetti diversi, layer di elementi sovraimpressi. Riprodotti su supporti trasparenti, i disegni sono nettamente visibili solo se posti contro una parete bianca (come quella della galleria Visioni Altre) o contro un altro tipo di supporto: una struttura sopra l’altra, appunto, perché il tratto si riveli.

I tratti sovrapposti, sia in disegno sia in scultura, non servono tanto a fissare la forma quanto a indagarla: per comprendere il corpo, e l’anima di cui è guscio, Giovanni Pinosio ridefinisce continuamente il segno, gioca di addizioni e sottrazioni, sposta il soggetto nello spazio e nel tempo, lasciandosi alle spalle un’intuizione per seguirne subito un’altra, in un susseguirsi di non-finiti che è però possibile ricondurre a unità. Questo è il corpo, e questo siamo noi, a metà 2020: una forma molteplice, mobile e dislocata.